Omelia del Parroco durante la Messa del 2 novembre 2024 a S. Bernardino
1. Credo la comunione dei Santi
La Commemorazione dei fedeli defunti che oggi celebriamo si radica nell’articolo del credo in cui diciamo: “Credo la comunione dei Santi”. Innanzi tutto che cosa è la “comunione”. Dal punto di vista filologico essa significa “unione-comune”. Ma questa “unione-comune” su che cosa si fonda? La risposta è variegata e complessa, come sappiamo. Ed ha una tipicità che appartiene esclusivamente alla Chiesa, al punto tale che – seguendo la teologica paolina – possiamo dire che le “unione-comune” è nient’altro che l’incorporazione a Cristo. Sì, la nostra comunione, come spiega S. Paolo, è questo: “molti, un corpo solo”. Non può esserci comunione più profonda e reale. Sappiamo anche che questa “unione-comune” non è semplicemente un’unione di tipo “morale”. Posso ben dire, per esempio, che esiste il “corpo forestale” o il “corpo dei vigili del fuoco”; questa è unione di tipo morale. Ma la comunione, il corpo di cui parliamo, non è di tale natura. Il corpo di cui parliamo qui, la comunione di cui parliamo è di natura sacramentale, quindi oggettiva. Si fonda cioè su “qualcosa” che ha fatto il Signore, ossia il sacramento. Si entra in questo corpo, in questa comunione mediante il sacramento del Battesimo e si nutre questa comunione con l’Eucaristia. Una volta entrati in questo corpo, in questa comunione non se ne esce più. Neppure la morte ci separa da questa comunione. Ed essa è comunione con Cristo e con i fratelli. Per questo noi sappiamo che coloro che ci hanno preceduti e sono vivi, sia pure non più alla maniera di questo mondo, non sono separati da noi, da questa comunità che hanno contributo ad edificare con la loro fede e con le opere che la fede ha suscitato.
2. Il suffragio
Ma c’è anche un secondo motivo che soggiace alla commemorazione odierna, ossia il suffragio. Noi siamo qui a pregare per coloro che sono passati ad un altro modo di essere vivi e sono comparsi dinanzi al Giudice. La nostra preghiera per questi defunti ha come sfondo una verità di fede: la purificazione dei defunti. Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna al riguardo: “Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo. La Chiesa chiama purgatorio – verità de fide tenenda – questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al purgatorio soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento. Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la Sacra Scrittura già parla: «Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (2 Mac 12,45) (CCC1030, 1031). Nell’enciclica Spe salvi Benedetto XVI, a proposito del “fuoco” purificatore del purgatorio, che va inteso in senso allegorico, scrive: “Alcuni teologi recenti sono dell'avviso che il fuoco che brucia e insieme salva sia Cristo stesso, il Giudice e Salvatore. L'incontro con Lui è l'atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonde ogni falsità. È l'incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durante la vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria e crollare. Ma nel dolore di questo incontro, in cui l'impuro ed il malsano del nostro essere si rendono a noi evidenti, sta la salvezza. Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa «come attraverso il fuoco». È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio. Così si rende evidente anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l'amore. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell'amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia. È chiaro che la «durata» di questo bruciare che trasforma non la possiamo calcolare con le misure cronometriche di questo mondo. Il « momento » trasformatore di questo incontro sfugge al cronometraggio terreno – è tempo del cuore, tempo del « passaggio » alla comunione con Dio nel Corpo di Cristo” (l.c. 47)
Purgatorio e suffragio per i defunti vanno dunque tenuti insieme. Purtroppo anche la pastorale sotto questo profilo è stata – come dire – un po’ contaminata da una corrente culturale emotiva che parla solo di ricordo e non più di suffragio. Le nuove generazioni hanno praticamente perso questa idea. Lo si capisce dal modo in cui visitano – quando lo fanno – il cimitero, senza una preghiera cioè, e dalla diminuzione della richiesta di Messe di suffragio per i defunti. Mi avete già sentito dire più di una volta: “Finché ci siamo noi, i nostri defunti sono certi dei nostri suffragi, ma quando saremo morti noi, chi pregherà per noi?”.
Sul senso del suffragio ascoltiamo ancora un passo della menzionata enciclica di Benedetto XVI. Dice: “Un motivo ancora deve essere qui menzionato, perché è importante per la prassi della speranza cristiana. Nell'antico giudaismo esiste pure il pensiero che si possa venire in aiuto ai defunti nella loro condizione intermedia per mezzo della preghiera (cfr per esempio 2 Mac 12,38-45: I secolo a.C.). La prassi corrispondente è stata adottata dai cristiani con molta naturalezza ed è comune alla Chiesa orientale ed occidentale. L'Oriente non conosce una sofferenza purificatrice ed espiatrice delle anime nell'« aldilà », ma conosce, sì, diversi gradi di beatitudine o anche di sofferenza nella condizione intermedia. Alle anime dei defunti, tuttavia, può essere dato « ristoro e refrigerio » mediante l'Eucaristia, la preghiera e l'elemosina. Che l'amore possa giungere fin nell'aldilà, che sia possibile un vicendevole dare e ricevere, nel quale rimaniamo legati gli uni agli altri con vincoli di affetto oltre il confine della morte – questa è stata una convinzione fondamentale della cristianità attraverso tutti i secoli e resta anche oggi una confortante esperienza. Chi non proverebbe il bisogno di far giungere ai propri cari già partiti per l'aldilà un segno di bontà, di gratitudine o anche di richiesta di perdono? Ora ci si potrebbe domandare ulteriormente: se il «purgatorio» è semplicemente l'essere purificati mediante il fuoco nell'incontro con il Signore, Giudice e Salvatore, come può allora intervenire una terza persona, anche se particolarmente vicina all'altra? Quando poniamo una simile domanda, dovremmo renderci conto che nessun uomo è una monade chiusa in se stessa. Le nostre esistenze sono in profonda comunione tra loro, mediante molteplici interazioni sono concatenate una con l'altra. Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri: nel male come nel bene. Così la mia intercessione per l'altro non è affatto una cosa a lui estranea, una cosa esterna, neppure dopo la morte. Nell'intreccio dell'essere, il mio ringraziamento a lui, la mia preghiera per lui può significare una piccola tappa della sua purificazione. E con ciò non c'è bisogno di convertire il tempo terreno nel tempo di Dio: nella comunione delle anime viene superato il semplice tempo terreno. Non è mai troppo tardi per toccare il cuore dell'altro né è mai inutile” (48).
3. L’Eucaristia
In alcune delle orazioni chiamata postcommunio delle messe esequiali e per i defunti mi colpisce sempre il passaggio in cui si prega perché - “per la potenza di questo sacrificio” il defunto o i defunti siano purificati e liberati per poter partecipare alla gloria eterna della risurrezione. La liturgia sembra porre un nesso di causa/effetto tra la celebrazione dell’Eucaristia e la liberazione dal peccato dei defunti, che consente la partecipazione alla vita risorta. Detto in altri termini, si sottolinea la potenza dell’Eucaristia, della Messa, in vista della beatitudine del defunto. Ed è proprio quello che stiamo facendo noi questa sera. Ma perché l’Eucaristia è così potente? Ci viene in aiuto ancora Benedetto XVI. Un uno dei saggi raccolti in una edizione postuma dal titolo “Che cos’è il cristianesimo”, egli, a proposito dell’Eucaristia afferma: “Cosa accade però con il pane e il vino nella celebrazione della Santa Eucaristia? Non viene ad essi aggiunto temporaneamente qualcosa, pane e vino vengono invece strappati fuori dalle cose di questo mondo per entrare nel nuovo mondo di Gesù Cristo risorto … pane e vino non sono più realtà create di questo mondo che in sé consistono, bensì portatori della forma misteriosamente reale del Risorto”. Detto ancora più chiaramente: “ … nella Santa Eucaristia non si aggiungono un po’ di carne e un po’ di sangue al pane e al vino, piuttosto ora le offerte sono portatrici della dinamica di Cristo crocifisso e risorto . Infatti nell’Eucaristia non si riceve un po’ di corpo e un po’ di sangue di Gesù, ma si entra nella dinamica dell’amore di Gesù Cristo che si concretizza nella croce e nella resurrezione e diviene realmente presente” (pp. 134-135). Hic et nunc potremmo dire: per questo l’Eucaristia è così potente per il suffragio dei nostri cari defunti.
Lasciamoci rassicurare e confortare dalle parole della fede per i nostri cari che ci hanno preceduto e per noi, nell’ora della nostra morte. Lasciamoci attrarre da quella patria in cui – come dice S. Agostino – non spes lactat sed res nutrit (non la speranza allatta ma la realtà nutre).