Il concetto di povertà è cambiato: servono pertanto nuove politiche pubbliche

  • 12/11/2022
  • Don Gabriele

Il concetto di povertà è cambiato: servono pertanto nuove politiche pubbliche

Che cosa si intende per “povertà”? Si tratta di un’espressione tutt’altro che univoca, riconducibile a una serie di nozioni tra loro eterogenee, in quanto è differente a seconda dei metodi e degli indicatori utilizzati per l’analisi. A seconda dei bisogni considerati essenziali o del punto di osservazione si parla, infatti, di povertà assoluta o relativa, oggettiva o soggettiva, unidimensionale o multidimensionale, trasversale o longitudinale, ecc. Inoltre, il concetto di povertà cambia a seconda che lo si consideri sotto il profilo quantitativo o sotto quello qualitativo. Infatti, il termine “povero” connotava soltanto alcune categorie – i disoccupati, le famiglie numerose, gli anziani – oggi, con l’emersione di nuove categorie di poveri – i minori, i giovani, i cdd. working poor, i senza fissa dimora, gli immigrati, i precari, ma anche gli analfabeti informatici – la nozione arriva a ricomprendere un numero maggiore di situazioni di disagio o vulnerabilità sociale, sino a considerare situazioni di povertà non caratterizzate dalla scarsità di mezzi economici, bensì da altri tipi di scarsità: quali la ristrettezza delle relazioni sociali, l’isolamento e l’esclusione sociale, la scarsa salute, il mancato accesso a servizi sanitari o educativi, ecc. Tra le varie nozioni di povertà, rientra, anzitutto, quella di povertà relativa che connota coloro che pur avendo la possibilità di soddisfare i propri bisogni essenziali (intesi, con essi, il minimo necessario per la sopravvivenza) non riescono a utilizzare, invece, tutti i servizi pubblici disponibili. I dati Istat per l’anno 2019 raccontano che le famiglie residenti in Italia che vivono in condizione di povertà relativa sono quasi 3 milioni, pari all’11,4 per cento delle famiglie residenti, per un totale complessivo di quasi 8 milioni 800mila individui, vale a dire il 14,7 per cento dell’intera popolazione. La nozione di povertà assoluta indica la situazione del singolo o della famiglia caratterizzata dall’incapacità di procacciarsi i mezzi necessari per vivere. A differenza dalla nozione di povertà relativa, la povertà assoluta prescinde dal riferimento alla situazione generale e degli altri, individuando un dato assoluto che corrisponde alla incapacità di vivere per assenza dei mezzi economici necessari. Secondo le stime preliminari Istat, nel 2020 sono 335mila le famiglie in più rispetto al 2019 a passare sotto la soglia della povertà assoluta: si tratta di oltre 2 milioni di famiglie, il 7,7per cento, per un numero complessivo di individui pari a circa 5,6 milioni, oltre 1 milione in più rispetto all’anno precedente. È confermato, poi, un dato che ancora si discosta dal pensiero comune: sono le famiglie di giovani, infatti, le categorie più a rischio, laddove la povertà familiare ha un andamento decrescente all’aumentare dell’età della persona di riferimento L’incidenza di povertà assoluta, inoltre, varia molto a seconda del titolo di godimento dell’abitazione posseduta: la percentuale di povertà assoluta, infatti, è maggiore per coloro che hanno un contratto di locazione. Un quadro così diversificato rende assolutamente necessaria una impostazione delle politiche di lotta alla povertà diversificata quanto a strumenti utilizzabili: strumenti di carattere esclusivamente economico-finanziario non possono, in via generale, essere considerati sufficienti, dal momento che non tengono conto del fatto che la povertà sia un fenomeno multidimensionale. Pertanto, le politiche di lotta alla povertà non possono non tenere conto del fatto che alle difficoltà materiali – le più evidenti- si affianchino diversi altri indicatori di vulnerabilità e disagio, che tengono conto di aspetti sociali, culturali, esistenziali (come, per esempio, il livello di istruzione, l’accesso ai servizi educativi e sanitari, i processi migratori, etc.). Gli strumenti economici devono, quindi, essere accompagnati da misure mirate al fine di dar luogo a inclusione sociale, misure a loro volta diversificate a seconda delle situazioni personali, ambientali e sociali. Un discorso a parte, ma da integrare con quello fatto fin qui, riguarda la “povertà spirituale”, che spesso attraversa tutti i tipi di povertà sopra menzionati. Difficilmente si parla di questo genere di povertà, perché si è schiavi di una mentalità materialistica, che concepisce la dimensione spirituale come accessoria. Eppure nella Scrittura leggiamo: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Chi presta la propria opera nelle istituzioni che si danno da fare per alleviare la povertà, non può prescindere dal valutare anche la povertà spirituale.

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