Omelia del Parroco al Carmelo di Lodi durante l'Ufficio delle Letture nella vigilia della solennità della Madonna del Carmelo

  • 26/07/2022
  • Don Gabriele

In tutte le celebrazioni della Beata Vergine Maria, che costellano l’anno liturgico, emerge una nota caratteristica: la memoria di Maria è capace di generare la virtù della speranza. Non nel senso che Ella la doni: questa è prerogativa di Dio, ma nel senso che ne favorisce – con l’intercessione – la pratica esistenziale da parte nostra. E la favorisce anche ai nostri giorni, in cui – per vari motivi – sia dentro sia fuori la Chiesa la tentazione della sfiducia o del cinismo insidia questa virtù.

Mi pare che affermare che Maria generi la virtù della speranza non sia un pensiero semplicemente pio: il Vangelo, innanzi tutto, ci consente di pensare in questo modo. Mi riferisco a due brani di Giovanni: quello delle nozze di Cana e quello dell’affidamento che Cristo dalla croce fa della propria madre.

A Cana Maria genera speranza quando dice ai servi: “Fate tutto quello che egli vi dirà”. Ancora oggi, per poter godere della squisitezza del vino nuovo, occorre fare ciò che Cristo ci dice, che altro non significa che riconoscere la sovranità e l’efficacia della sua parola, del Vangelo. In questo modo cogliamo un nesso davvero non banale tra la virtù della speranza e la virtù dell’obbedienza. Infatti, solo se teologalmente si spera ciò che il Signore ha promesso, si obbedisce. L’obbedienza non è un atto di eroismo stoico, ma una consegna della propria volontà al fine di conseguire ciò che si crede costituisca il nostro vero bene.

Anche sotto la croce, Maria – consegnata a noi da Gesù morente – genera la speranza, perché Ella diventa la custode di quella creatura che nasce dal mistero pasquale: la Chiesa. E’ Maria che in quelle ore buie, quando tutto sembrava perduto con la morte di Cristo in croce, ha mantenuta accesa la speranza, ha “portato da sola la speranza del mondo”, come dice un autore. E non smette di farlo anche nelle ore buie che stiamo attraversando. Compete alla funzione materna di Maria mantenere viva questa virtù, soprattutto quando è insidiata dalla insipienza degli uomini e dalle tentazioni del Maligno. L’icona di Lei, Immacolata, che schiaccia la testa del serpente antico non smette di renderci speranzosi circa la vittoria del bene sul male.

Non per niente Dante, nella Divina Commedia, ha chiamato Maria: “fontana vivace di speranza”. Questo modo di esprimersi di Dante ci restituisce un’immagine molto bella: la fontana. Se immaginiamo una fontana, possiamo vedere che sempre getta acqua sia quando ci si accosta per bere sia quando non lo si fa. Maria è questa fontana. Dante specifica anche per chi Maria è fontana di speranza, dice infatti: “giuso intra i mortali”, cioè per noi, che siamo ancora pellegrini. Parlando ai suoi, nel 2002, don Giussani diceva queste belle parole: “La figura della Madonna è proprio la figura della speranza, la certezza che dentro i padiglioni - direbbero i medioevali - dell’universo sei la sorgente di acqua che si sente, che va giorno e notte, notte e giorno”.

Ci sono anche altre motivazioni in base alle quali possiamo dire che Maria genera in noi la virtù della speranza. Tra queste il fatto che Ella sia una creatura, che appartenga cioè alla nostra natura. Quello che voglio dire è che contemplando Maria, ci rendiamo conto che la speranza è una virtù possibile alla creatura, benché sia una virtù “difficile”. Infatti la fede vede quello che è, la carità ama ciò che è, la speranza ama ciò che sarà. Ecco perché sperare è difficile. La virtù della speranza è esattamente quella di ricominciare sempre a dispetto dell’irreversibile perdita che connota tutto ciò che è temporale. Pensiamo a quanto sia stata difficile per Maria questa virtù che la costringeva a dare continuamente credito alle parole dell’arcangelo Gabriele, a fronte di una realtà che appariva ben diversa da quelle parole sfolgoranti. Così Maria insegna a noi creature che la speranza – la “virtù bambina”, come la chiamava Peguy – è come nuotare controcorrente, ma non possiamo non farlo, perché solo così restiamo dentro le promesse di Dio.

C’è ancora un motivo in base al quale Maria genera la virtù della speranza in questo tempo così complesso: Ella è l’immagine della Chiesa. Nel prefazio dell’Immacolata – facendo eco alle parole di S. Paolo nella lettera agli Efesini – la liturgia esclama: “In lei hai segnato l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza”. Ciò che Maria è, la Chiesa sarà. Non c’è icona più convincente dell’Assunta sotto questo profilo. L’immortale De Lubac, in un passaggio dell’opera “Meditazioni sulla Chiesa”, si esprime così: “In ogni momento della sua esistenza, Maria parla ed agisce a nome della Chiesa, non in virtù di una decisione a lei sovrapposta, né beninteso di una decisione esplicita da parte sua, ma perché, per così dire, ella la porta e la contiene già tutta nella sua persona”.

Nell’inno Ave maris stella, si invoca Maria appunto come stella del mare. I naviganti che guardavano la stella polare sentivano nascere nel cuore la speranza che sarebbero giunti a casa, perché – grazie a quella stella – avrebbero individuato le categorie spazio-temporali che li avrebbero condotti al porto, dove li attendevano gli affetti più cari. Così anche noi, guardiamo a questa stella che non ci abbandona, che non è eclissata da alcuna perturbazione, perché spende nel cielo di Dio. Ci porterà a casa: noi, la Chiesa, l’umanità.

A voi, care sorelle carmelitane, chiediamo di continuare a tenere fissi gli occhi su questa stella: fatelo per tutti noi a volte distratti dagli impegni del mondo. Così contribuirete a tenere accesa la speranza nella Chiesa e nel mondo.

don Gabriele

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