Omelia del Parroco nella Messa in Coena Domini

Ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi prima di patire

  • 01/04/2021
  • Don Gabriele

“Ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi prima di patire”.

Queste parole di Gesù ci sono state trasmesse dal Vangelo di Luca e inquadrano l’Ultima Cena in questo ardente desiderio del Signore.

Da questa frase pronunciata da Gesù sottolineo tre parole: desiderio, pasqua, patire.

1. Desiderio

Gesù nutre questo ardente desiderio di mangiare la pasqua con i suoi discepoli, perché con essi vuole ricreare il clima familiare in cui tante volte, con Maria e Giuseppe, ha celebrato la Pasqua. Ora la famiglia di Gesù sono i suoi discepoli, e con essi Egli vuole assaporare il clima di famiglia di cui ci ha parlato la prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, che ci narra le prescrizioni per la celebrazione della Pasqua. Possiamo dire che il desiderio di Gesù è radicato nella dimensione affettiva, familiare, relazionale. Il clima caldo di una famiglia che vive nell’orizzonte della fede, delle tradizioni religiose di un popolo, in cui Dio non è il grande assente, ma è l’ospite abituale. Ma il desiderio del Signore esprime anche la necessità di essere rinfrancato dall’amore dei suoi, prima di affrontare le ore terribili del rifiuto da parte del suo popolo, delle menzogne, dello scherno, della violenza e della morte atroce di croce. Sì, Gesù si fa mendicante, possiamo dire così, con tutta la sua umanità così sensibile, si fa mendicante dell’affetto dei suoi, perché i loro volti, la loro voce, le loro storie lo possano sostenere nell’affrontare ciò che gli sta dinanzi. In questo desiderio di Gesù scopriamo la sua umanità, che come la nostra, ha bisogno di essere consolata. Il desiderio di Gesù esprime ciò che è proprio di ogni amicizia autentica: trovare posto nel cuore dell’altro, essere rinfrancato da questa accoglienza. Il desiderio di Gesù esprime anche la sua umiltà; Gesù non è uno stoico che affronta il dolore in modo imperturbabile; Egli, umilmente, chiede di essere sostenuto dall’amicizia dei suoi, in questo frangente tragico della sua vita.

2. Pasqua

La seconda parola è Pasqua.

Quella di Gesù è una cena pasquale. Gesù nutre questo ardente desiderio perché sa che in quella cena pasquale Egli farà qualcosa di inaspettato e di inedito, qualcosa che poi affiderà ai suoi apostoli, i quali, a loro volta, ai loro successori, affinché sia celebrato fino a quando Egli tornerà all’ultimo giorno. Egli porterà a compimento il senso e la realtà della Pasqua che comprende in sé una dimensione naturale – legata cioè alla natura, al cosmo, alle stagioni, alla fertilità della terra – e una dimensione storica: la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù dell’Egitto. Col riferimento alla Pasqua Gesù travalica il puro aspetto affettivo, senza negarlo, e ci apre al mistero che questa cena pasquale porta con sé e inaugura. Nel testo della narrazione dell’Ultima Cena, che abbiamo ascoltato come seconda lettura – testo più antico, scritto da san Paolo prima ancora della stesura dei Vangeli – non si parla dell’Agnello pasquale, del pane azzimo e delle erbe amare, che erano gli elementi insostituibili della cena pasquale ebraica, che ricordava le prescrizioni dell’Esodo. In questa cena succede qualcosa che lascia stupefatti gli apostoli: Gesù dice sul pane: “Questo è il mio corpo” e sul vino: “Questo è il mio sangue”. Il contenuto di quella cena pasquale non sono più gli antichi simboli che ricordavano l’uscita dall’Egitto degli Ebrei, bensì la realtà di una vita donata, la trasformazione di una notte di tradimento, di violenza, di scherno nella proclamazione che solo l’amore di un Dio che accetta di essere crocifisso dai suoi è la vera liberazione, liberazione che l’uomo non può darsi da solo, perché ne è radicalmente incapace. Quando Cristo dice: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”, in quell’avverbio “ardentemente” si cela anche tutta la sua tensione per consegnare ai suoi il contenuto nuovo e definitivo di questa Pasqua: “Questo è il mio corpo, che è per voi; questo è il sangue dell’alleanza: fate questo in memoria di me”. La mano protesa a ghermire il frutto della vita nel paradiso terrestre ha portato solo morte; le mani aperte di Cristo che dona se stesso nel pane e nel vino inaugurano una logica diversa. Là la mano protesa verso il frutto proibito esprimeva la smania di essere come Dio; qui Cristo ci insegna che solo offrendo se stessi si è come Dio; non nel possesso egoistico, ma nel dono si inaugura un nuovo paradiso.

3. L’ultima parola: “prima di patire”.

Gesù rivela ai suoi che il suo cammino va ineluttabile verso la sofferenza e la morte. Ma egli desidera non solo spiegare perché, ma aprire anche una prospettiva. Gesù sta dicendo ai suoi che la sfigurazione che tra un po’ gli toccherà – il suo patire appunto – non è l’ultima parola. “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue” significa che tra poche ore Egli il corpo e il sangue lo donerà fino in fondo sulla croce. Gesù spiega ai suoi ciò che non era immediatamente comprensibile: Egli sta dicendo che la morte in croce non è un incidente di passaggio, ma è il rifacimento dell’uomo, che viene fatto nuovo proprio mentre il suo Creatore muore. Gesù dice ai suoi che la croce, l’accettazione di quella morte, è necessaria per spiegare chi è davvero Dio: il Quale accetta dalle mani della sua creatura la morte senza ribellarsi, per far capire che solo l’amore salva. Questo annientamento di Dio nella passione è una storia nuova, che l’uomo non ha mai udito: Dio – nel pensiero comune – è colui che prende e pretende; sulla croce Dio dà solamente, senza pretendere nulla. Ma proprio per questo Gesù sta dicendo ai suoi che il patimento non è l’ultima parola, perché solo un amore così è capace di far rifiorire la vita. Il desiderio ardente di Gesù la sera del giovedì santo ci dice che in quella Pasqua, il suo corpo dato e il suo sangue versato, c’è già la vita risorta, quella che Egli riprenderà la mattina della risurrezione “perché non era possibile – come dicono gli Atti degli Apostoli – che la morte lo tenesse in suo potere”. Del resto lo stesso Gesù, parlando della sua passione e morte, ebbe a dire: “Distruggete questo tempio – e parlava del suo corpo – è io in tre giorni lo farò risorgere”. L’Eucaristia, di cui ci nutriamo, è il corpo del Risorto, che si fa fare Pasqua con lui.

Lasciamoci dunque raggiungere da questo desiderio ardente del Signore in questo giovedì santo, facendo spazio nel nostro cuore alla sua umanità, che vuole ancora condividere e spiegare a noi il mistero della nuova e definitiva Pasqua, facendoci pregustare la gioia della vita risorta.

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