Omelia del parroco - Mercoledì delle Ceneri 2017
Mercoledì delle Ceneri 2017
1. Iniziamo la nostra Quaresima con semplicità e con gioia.
La voce della Chiesa, tramite l’apostolo Paolo ci chiede di lasciarci riconciliare con Dio.
Paolo ci dice innanzi tutto che la riconciliazione non la operiamo noi, ma avviene attraverso un procedimento sostanzialmente passivo: lasciarsi riconciliare.
Subito dopo ci dice anche in che cosa consiste questo lasciarsi riconciliare: consiste nel diventare giustizia di Dio, in altri termini, santi. Come dice altrove Paolo, santi e immacolati al suo cospetto nella carità. La riconciliazione ha dunque come frutto il rassomigliare a Dio. La santità è possibile in forza della comunione con Lui. La riconciliazione si consuma nella comunione, grazie alla quale Dio mi comunica la sua santità, che è il suo amore: Dio è amore. Per questo le S. Messe della prima domenica di Quaresima inizieranno con il canto delle litanie dei Santi, di questi “amici – cioè – e modelli di vita”, che ci hanno preceduti e pregano per noi perché l’avventura di essere cristiani si concluda felicemente, come è successo a ciascuno di essi.
Tutto ciò si è verificato grazie al mistero pasquale del Signore Gesù Cristo. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore. La riconciliazione che dona la santità, ci viene dall’annientamento del Figlio, che ha capito così bene le ragioni di questo amore, che non ha tenuto per sé gelosamente la prerogativa di Figlio, ma si è fatto servo ed è morto sulla croce affinché figli lo potessimo essere tutti. Qui cum esset unicum noluit esse solus (S. Agostino).
Di fronte a questo scenario, la Chiesa attraverso la voce di Paolo ci chiede di non accogliere invano la grazia di Dio. E’ come se ci dicesse che la grazia è già donata e ci viene costantemente donata: non sprechiamola!
Così, in poche battute, Paolo ricapitola tutta la novità del cristianesimo. Essa viene riversata dentro di noi dal sacramento del Battesimo, che è puro dono, cioè elargizione immeritata. Le letture di questa Quaresima, soprattutto nella terza, quarta e quinta domenica, nelle quali si leggono i racconti battesimali della samaritana, del cieco nato e della risurrezione di Lazzaro, ha una particolare coloritura battesimale, che cercheremo di mettere in luce recuperando alcuni elementi del rito del battesimo: l’acqua nella terza domenica; la luce nella quarta; il profumo della vita risorta – l ‘opposto cioè al fetore della putrefazione della morte – nella quinta.
2. Tenendo presente questo sfondo, quello cioè della grazia, che ci libera da ogni ansia e da ogni “attivismo” spirituale, da ogni ricerca di “benessere spirituale”, ricordandoci che il nostro comportamento è semplicemente realizzazione del dono datoci. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che non si tratta di un effetto automatico, perché con Dio siamo sempre nella realtà della libertà e perciò il Battesimo non produce automaticamente una vita secondo il vangelo: questa è frutto della volontà e dell’impegno perseverante di collaborare con il dono, con la Grazia ricevuta. E questo impegno costa, c’è un prezzo da pagare di persona.
A livello si inserisce il nostro impegno, che sul Notiziario parrocchiale ho declinato seguendo le tre parole, che il brano evangelico di oggi ci ha proposto. Innanzi tutto il DIGIUNO, ossia: maggiore generale sobrietà di vita attraverso una “penitenza dei sensi”, che ognuno può adattare alla propria situazione; per esempio: meno cibo, meno immagini (televisione, computer, tablet, cellulare); meno parole (recupero del silenzio interiore ed esteriore); meno divertimenti etc. (è un “meno” non fine a se stesso, ma per un “più” di spazio per la sequela di Cristo). PREGHIERA, ossia: maggior rigore nella partecipazione alla Messa domenicale, nelle cd. “preghiere del buon cristiano” di tutti i giorni, mattino e sera; nella partecipazione alla Messa feriale e ai momenti di riflessione e di orazione previsti dalla parrocchia; ma soprattutto nell’atteggiamento interiore di attenzione alla presenza di Dio a cui corrisponde l’impegno a ricordarsi di lui più volte durante la giornata. ELEMOSINA, ossia attenzione alle necessità/povertà dei fratelli; risposta generosa alle iniziative di carità della parrocchia; impegno a favorire la crescita di una mentalità di premura, di accoglienza, di condivisione (penso ai nostri anziani così spesso soli …).
Questi tre aspetti, digiuno, preghiera, elemosina, vanno intrecciati fra loro, perché uno senza gli altri rischia di essere fuorviante. Sempre sul Notiziario ho fatto la proposta della “TRE SERE SETTIMANALE”, vale a dire la scelta di vivere interamente i tre giorni di mercoledì, giovedì e venerdì di tutte le settimane di quaresima in questo modo: a) partecipando ai tre momenti di preghiera/riflessione previsti dalla parrocchia (la lectio divina il mercoledì sera; l’adorazione eucaristica personale il giovedì sera; la Via Crucis il venerdì sera); b) togliendo qualcosa a noi in questi tre giorni (un caffè, le sigarette, un bicchiere di vino, una birra, un cibo più costoso scegliendone uno a minor prezzo, un dolce, un divertimento, una comodità etc. etc.); c) traducendolo poi in offerta di carità e mettendolo nella bussola in chiesa parrocchiale al termine della Via Crucis del venerdì sera. Ciò che verrà raccolto – insieme alla tradizionale colletta della quarta domenica di Quaresima (chiamata la Carità del Vescovo) – sarà devoluto alla diocesi terremotata di Rieti.
Quanti per età o per altri motivi non potranno partecipare alla “Tre sere settimanale”, potranno comunque vivere questi tre giorni partecipando alla Messa feriale, all’adorazione del giovedì mattina e alla Via Crucis dei ragazzi alle 16.30 del venerdì. Anch’essi potranno destinare il frutto delle loro penitenze quaresimali, mettendolo nella bussola apposita nella chiesa dell’Annunciata.
So che questo programma è impegnativo, ma la quaresima deve essere impegnativa! Sono gli esercizi annuali per purificare il nostro cuore e renderlo pronto a celebrare la grande solennità annuale, la Pasqua del Signore, la nostra Pasqua. Dobbiamo arrivare a Pasqua stanchi e contenti.
Sempre sul Notiziario ho proposto anche il cd. “sfido”, ossia una sorta di “gara”. E’ una pratica della tradizione carmelitana. Consiste nell’impegnarsi cioè in qualche cosa reciprocamente (per esempio nelle rinunce o negli impegni sopra evidenziati oppure in qualche lato del proprio carattere …). Possiamo farlo anche noi: possiamo scambiarci lo “sfido” con qualcuno della nostra famiglia, col marito, con la moglie, col fidanzato, con la fidanzata, col figlio, con la figlia, con il nonno, con la nonna, con un amico, con un’amica etc.. Ho già chiesto ai catechisti di proporre lo “sfido” a tutti i loro gruppi di catechesi.
3. Lo scopo della quaresima e di tutta la vita cristiana è la conformazione al Signore Gesù: diventargli cioè conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dei morti, come dice Paolo. Questa “conformità nella morte” è necessaria. La quaresima, infatti, è tutta attratta da questa morte del Signore, attraverso la quale si giunge alla risurrezione. La conformità al modo di morire di Gesù è quello che ci viene chiesto. Il Battesimo stesso non è forse un essere battezzati nella sua morte? Il dono di grazia non esime dal morire, anzi fa proprio sì che moriamo come è morto lui. Allora la conformità col morire di Gesù passa attraverso il travaglio dell’orto degli Ulivi dove Gesù fa sua la volontà del Padre. Passa, cioè, attraverso la lotta della preghiera. Ma questo morire facendo sua la volontà del Padre spalanca già sul mondo l’aurora della risurrezione. Dentro la preghiera – laboratorio della libertà, nel senso che lì la libertà viene finalmente fabbricata come creatura nuova – io divento conforme a Gesù nella morte e già pregusto la risurrezione che è la vita della piena comunione con Dio e con i fratelli.
Potete bere il calice che io sto per bere? chiede Gesù ai suoi discepoli? Il mio calice lo berrete soggiunge. Il calice è quello del Getsemani: Padre, se è possibile allontana da me questo calice. Ed è lo stesso calice che poche ore prima aveva tra le mani, calice che conteneva il vino della nuova alleanza, il suo Sangue prezioso nel quale aveva inaugurato il mistero pasquale. Tra il calice che beviamo nell’Eucaristia e quello che beviamo compiendo la volontà del Padre c’è uno stretto legame: il primo ci aiuta a bere l’altro. Se ci pensiamo bene, questo sangue è uno spreco. Bastava una sola goccia per redimere il mondo. Invece Gesù lo ha effuso fino all’ultima goccia. Questo sangue dunque è l’effusione di una vita. Fino in fondo. Non una goccia, ma sino all’ultima goccia. Spaccato il suo costato con la lancia sgorgò sangue e acqua: l’ultimo sangue. Questo sangue del Signore è chiamato anche caro prezzo dalla Scrittura. Questo prezzo caro significa sì che è costato tanto a Gesù – ce lo ricorda la lettera agli Ebrei con accenti struggenti – ma significa anche che è un sangue che ci è molto caro perché è in sé rivelazione. Anche nel linguaggio corrente si dice: Ho dato il sangue ... E come non potrebbe esserci caro questo sangue sparso sulla croce e continuamente offerto nel sacrificio dell’Eucaristia fino alla consumazione dei secoli? L’amore autentico per la Divina Eucaristia ci conduce indefettibilmente a compiere la volontà del Padre. L’amore all’Eucaristia facilita la conformità a Cristo.
Lasciarsi riconciliare con Dio, significa lasciarsi lavare e nutrire dal sangue di Cristo, che ci comunica la vita di Dio, la vita alla quale abbiamo diritto – per dono – perché nel Battesimo siamo diventati suoi figli.